BRINDISI – Qualche mese fa il Professore Francesco Magno, su pungolo del notaio Errico, realizzò un interessante “programma ambientale” che probabilmente sarebbe dovuto confluire nel programma elettorale nel notaio, qualora si fosse candidato alla carica di Sindaco. Decaduta questa ipotesi, tale elaborato è stato messo a nostra disposizione dallo stesso Professore.
L’articolato lavoro è incentrato essenzialmente sul recupero dell’area industriale brindisina e sulla questione rifiuti.
Sul primo punto è espressa la necessità di superare un anacronistico ed inefficiente sistema di governance dell’area industriale, come quello messo in piedi dal Consorzi ASI, per fare posto ad un Soggetto Gestore composto dalle aziende insediate e dal Comune di Brindisi. Il Consorzio ASI, infatti, viene descritto come un inutile Ente economico che, in quanto non elettivo e tendente alla conservazione delle posizioni di rendita, non farebbe gli interessi della città e delle imprese. Tale Consorzio, proponendo: la riattivazione del paleo inceneritore di sua proprietà per lo smaltimento di rifiuti pericolosi; la realizzazione di un’impianto CSS affidata ad A2A; il raddoppio della discarica per rifiuti pericolosi; una indiscriminata ed inutile caratterizzazione chimica di tutti i terreni della zona industriale – anche di quelli privati -, avrebbe dimostrato ampiamente la propria inadeguatezza ad ottemperare al compito che gli è affidato.
La governance e l’indirizzo sulle linee programmatiche, pertanto, dovrebbero competere al Comune, il quale, in linea con le direttive europee in materia che aprono alla partecipazione (vedi lo strumento di “scoping” di recente introdotto), dovrebbe coinvolgere la cittadinanza attraverso un “Manifesto della Comunicazione Pubblica in campo ambientale”, supportato da un’adeguata campagna di comunicazione.
Tutto ciò, secondo Magno, sarebbe dettato dalla inderogabile esigenza di mettere un freno all’impronta negativa che i grandi insediamenti hanno arrecato all’ecosistema brindisino, in termini di consumo eccessivo del suolo, dell’acqua, dell’atmosfera. Vi è bisogno, pertanto, di un’operazione che riequilibri la situazione ambientale, e tale compito deve essere prerogativa del Consiglio Comunale. Le direttrici da perseguire vanno dalle bonifiche alla necessità di migliorare la qualità del carbone (riduzione dello zolfo, delle polveri incombustibili, riduzione delle emissioni, aumento dei presidi), senza incappare in sterili dietrologie, data la riduzione del consumo energetico e la consequenziale minore competitività e produzione della centrale di Cerano. Bisognerebbe, inoltre, mettere fine a quanto perpeptrato dalla centrale di Brindisi Nord ed incentivare l’innovazione, la produttività compatibile, l’infrastrutturazione. Su tali ultimi aspetti vengono in soccorso le politiche comunitarie, come il Programma Horizon 2020.
Per indirizzarsi verso una ‘green economy’, pertanto, è necessario modificare il proprio modello di governance. Ciò è possibile tramite le Aree Produttive Ecologicamente Attrezzate (APEA), le quali, seppur previste dall’art. 26 del D. lgs. 112 del ’98, hanno trovato la propria regolamentazione regionale solo nel 2015, allorquando la Regione Puglia ha introdotto tale strumento nel Piano Paesaggistico Territoriale Regionale Tematico. L’APEA, in Puglia diventata APPEA, normativamente prevede che la gestione delle aree industriali siano affidate ad una partecipazione mista tra aziende insediate nel territorio e Comune. Quest’ultimo dovrebbe quindi spingere la Regione a costutuire la APEA di Brindisi, così da poter finalmente disegnare lo sviluppo della propria zona industriale attraverso lo strumento urbanistico del Pug, senza più demandare tale compito all’ASI.
Tale anelito, però, trova la forte resistenza del Consorzio ASI, il quale, nel frattempo, pensa a riattivare la piattaforma polifunzionale della ex Termomeccanica (inceneritore, discarica, impianto trattamento reflui), della quale il Consorzio è compropiretario e che, in passato, ha trattato e smaltito rifiuti pericolosi e tossici rivenienti dall’area SIN di Manfredonia. Tale modello di sviluppo e gestione, secondo il Professore, non presenterebbe alcuna compatibilità con il territorio, risultando invece pericoloso per la saute e per l’ambiente, e contravvenendo alla necessità di quello sviluppo sostenibile di cui se ne avverte un’impellente bisogno. Tali fatti narrati, assieme all’autorizzazione rilasciata all’ex Alfa Edile per lo smaltimento di ecoballe napoletane – spesso oggetto di combustioni tossiche – evidenzierebbero una mancanza di conoscenza dell’ASI rispetto alle finalità di una APEA ed alle politiche necessarie per lo svipluppo di una green economy. Secondo Magno, invece, il Consorzio sarebbe ferrato sulle logiche politiche che lo muovono e sulle posizioni di rendita da difendere: si spiegherebbe così il fatto che l’ASI abbia già fatto richiesta in Regione per istituire e gestire un’APPEA che, se dovesse nascere secondo queste premesse e con l’ASI come Ente Gestore, non apporterebbe alcun beneficio.
I vantaggi della costituzione di un’APPEA a gestione mista aziende/Comune, invece, sarebbero rappresentati da un’aumento della qualità ambientale degli insediamenti, dalle economie di scala derivanti da una gestione integrata dei servizi, da una semplificazione dei procedimenti autorizzativi per le imprese insistenti in tale area produttiva, ecc.
Per addivenire a tali risultati, pertanto: il Comune dovrebbe sollecitare la Regione affinché riconosca tale modello di APPEA; si dovrebbero garantire servizi quali la gestione dei rifiuti, la fornitura di acqua, il magazzinaggio comune, assistenza burocratica, sicurezza.
La costituzione di tale APPEA brindisina permetterebbe di incanalare risorse statali riservate alle Aree SIN, quale quella di Brindisi, e di provvedere alla predisposizione di un nuovo Accordo di Programma da siglare con la Regione, che possa sostituire quello del 2007.
Riguardo la questione rifiuti, poi, il Geologo brindisino traccia una mappatura di tutti gli impianti che furono concepiti e realizzati nel periodo in cui lui stesso svolgeva il ruolo di Dirigente dell’Ufficio Ecologia (anni ’98 – ’00). Tra questi: la discarica di Autigno per lo smaltimento indifferenziato; l’impianto di recupero di Cdr; quello di estrazione di biogas presso la discarica di Autigno; le isole ecologiche a raso ed a scomparsa; l’attivazione del ‘porta a porta’; la raccolta di abiti usati. Tutto ciò è andato quasi completamente perso, ed insieme a questo si deve registrare una gestione del rapporto con Ecologica Pugliese capestro, che ha visto, ad esempio, la redazione del Piano finanziario del servizio ad opera dell’azienda stessa, quando sarebbe stato più opportuno che fosse stato realizzato dagli uffici comunali. Ciò, assieme alla predisposizione di una raccolta differenziata che non decolla e che non procura vantaggi economici al Comune, ma solo all’azienda (dato che il Consorzio Nazionale Imballaggi eroga le risorse solo a chi effettua il servizio), contribuisce a determinare il pagamento della Tari più alta d’Italia.
Le soluzioni da apportare, perciò, vanno in una direzione opposta a quella di una raccolta differenziata inutile e antieconomica per il Comune (se fatta in questi termini), in quanto l’unica raccolta differenziata che può apportare benefici è quella riguardante la frazione umida/organica, da smaltire in appositi impianti.
Il futuro, chiude allora Magno, è nella gestione degli impianti affidata ad un soggetto pubblico unico, quale ad esempio la Brindisi Multiservizi, ed in forme intelligenti e mirate di differenziata.
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Andrea Pezzuto Redazione |