Donne, Islam e… Intervista a Houda Latrech, giovane ragazza musulmana

– Houda, prima di procedere con l’intervista vorremmo sapere qualcosa di te. 
Mi chiamo Houda Latrech, ho 20 anni, studio giurisprudenza all’università statale di Milano, sono appassionata di poesia, scrittura, lingue, giustizia e impegno sociale, più o meno in quest’ordine.

-Che ruolo ha la donna nell’Islam? 
Questa è una domanda vasta, bisognerebbe parlare di fede, pratica, società, lavoro e molto molto altro ancora. In breve, per non dover scrivere un saggio, posso dire che la donna ha un ruolo fondamentale, diverso e allo stesso tempo uguale a quello dell’uomo. Diverso perché ”e foste creati uomini e donne”, uguale perché il Corano si rivolge sempre a donne e uomini, insieme e diversi, a completarsi. La donna per l’Islam è una creatura da vedere nel suo insieme, non legata esclusivamente alle funzioni materne e familiari, di madre, sposa, e figlia, ma di donna in quanto donna, portatrice di un suo pensiero e una sua psicologia e spiritualità indipendente. Il messaggio islamico incoraggia l’impegno, incoraggia il lavoro, incoraggia la solidarietà, che mai si raggiungerebbe senza una reale presenza e ruolo attivo della donna. Niente nel messaggio islamico giustifica la discriminazione della donna, purtroppo non vuol dire che le donne musulmane non subiscono discriminazione. Questo sfortunatamente porta a costruire un’immagine della donna musulmana come oppressa e bisognosa di essere liberata dal maschilista islamico, soprattutto se velata, non si accetta ancora l’idea di una donna musulmana che si salva da sé, libera con le sue forze e il suo intelletto. C’è molta strada da fare, molto lavoro da compiere, affinché la donna sia davvero libera, autonoma e impegnata, come esigono i Testi sacri e come deve garantire la società.

– Incuriosisce tanto il tema sull’abbigliamento, ci racconti la tua esperienza? E quali miti sono da sfatare? 

La mia esperienza è la normale esperienza di una ragazza musulmana cresciuta in Italia, il velo non mi crea problemi, l’ho portato dall’adolescenza, scegliendo e poi convincendomi della mia scelta. I miti da sfatare sono tanti, spesso anche molto divertenti, e spaziano da quelli che vedono nel portare il velo simbolo di sottomissione della donna all’uomo (a volte viene da chiedersi anche quale uomo, soprattutto nel mio caso), a chi lo ritiene un ostacolo all’indipendenza delle donne musulmane (è un velo, non è una catena, ve l’assicuro), chi lo vede come simbolo politico (?!), chi come sciarpa per nascondere i capelli bruttini (può darsi, chi lo sa), chi come pericolosa dichiarazione di guerra alla laicità del paese (vi assicuro che non è così). Quello che dico sempre è ascoltare le parole e i pensieri degli altri, prima di giudicarli dal proprio vestiario, come si suol dire, l’abito non fa il monaco, sicuramente il velo è portatore di un messaggio, e uno dei messaggi che più mi sta a cuore è il fatto di far vertere l’attenzione dell’altro non sul proprio corpo ma sul proprio pensiero, sulla propria anima, sulla propria personalità, bisogna valorizzare questi messaggi e soprattutto incoraggiare la libertà personale e la scelta.

– Ormai sei da un po’ di anni in Italia, cosa ti piace e non ti piace di questa nazione? 

È una domanda un po’ difficile, anche questa, e appena una settimana fa mi è stata fatta, e mi sono trovata nella stessa difficoltà in cui sono ora. Allora, ti dirò, è come chiedere cosa ti piace e non ti piace dei tuoi genitori, tu puoi amarli all’infinito, riconoscere i loro difetti, e cercare di cambiarli, senza riuscire, perché ti sei abituato all’inerzia dei loro sentimenti, all’affetto pacato e agli ostacoli abituati. Dell’Italia mi piace la gente, l’affetto, l’allegria, la lingua, la letteratura, la poesia, i libri, gli autori, la storia, i monumenti, le città, il cibo e altre piccole e grandi infinite cose. Non mi piace la mentalità di certe persone (normale, in qualunque altro paese), la lentezza, la burocrazia, la complessità di certe questioni, non mi piace la paura che si sta cercando di instaurare, non mi piace il clima di scontro verso il quale si vuole portare, ma tutto questo è nulla, in confronto alla bellezza e al calore umano che regna ancora.

– Un’ultima domanda: Come evitare di confondere l’Islam dall’estremismo islamico? 

Questa è una domanda facile. Conoscere le persone, leggere, leggere tanto, viaggiare, andare a visitare le chiese nel mondo islamico, assistere a una preghiera del venerdì in un centro islamico in Italia, ridere con qualche ragazzo musulmano, parlare di arte, di cultura, di libri, di teatro, ma anche di sport, di università, di lavoro, fare una chiacchierata davanti a un caffè non fa male a nessuno, anzi. Fare domande, non avere paura di fare domande, anche quelle che sembrano più stupide e banali, nella maggior parte dei casi si finirà ridendo a crepapelle. Non fermarsi ai pregiudizi, condividere, spazio, tempo, parole, pasti, caffè. La diffidenza è umana, bisogna solo evitare che crei mura insormontabili di paura, e la differenza tra Islam ed estremismo islamico è chiara, ed è la differenza tra una religione e come tale promotrice di pace e di convivenza, e una malata ideologia sanguinolenta che ogni giorno miete vittime e aiuta a ergere fortezze laddove ci sarebbe bisogno invece di ponti.
Stefano Zaffino

LASCIA UN COMMENTO