“Delle donne e del branco”

In una cronaca completamente ipotecata dalla variante omicron ci sono eventi che, come i titoli di coda di un film, passano quasi inosservati.

Succede per il solito naufragio dei migranti, un altro morto sul lavoro o l’ennesima violenza ai danni di una donna che si ripetono con una tale ciclicità da sfiorare appena le nostre coscienze assuefatte ed essere derubricati comeuna ineludibile normalità del nostro tempo.

Milano, notte del 31 dicembre. In una Piazza Duomo, che gremita di persone e forze dell’ordine non ha fatto la differenza rispetto all’essere completamente deserta,una diciannovenne è stata isolata e accerchiata da un branco di ragazzi di origine nordafricana con una strategia appresa sul web e che oserei chiamare di guerra. Tre cerchi concentrici, la ragazza al centro, palpeggiata, strattonata e abusata, filmata da quelli che assistevano allo spettacolo, mentre i più esterni distraevano la folla.

Quando ho appreso questa notizia, rientrata nella cronaca più ampia di una notte di follia che ha visto rapine, risse, accoltellamenti ad opera di decine e decine di immigrati, secoli di oppressione, di sopraffazione, di violenza, di caccia alle streghe mi sono caduti addosso, come se tutti i piccoli passi fatti fin qui dalle donne, tutti gli ostacoli superati, tutti i traguardi raggiunti non fossero serviti a niente.

Nel nostro Paese, le battaglie portate avanti in nome della libertà, dell’uguaglianza e delle pari opportunità, non sono riuscite ancora a centrarel’obiettivo,la parità raggiunta è più formale che sostanziale, è una parità di facciata, di marketing aziendale, priva di politiche sociali che la sostengano e la donna resta l’anello debole della catena, quella su cui il maschio frustrato può scaricare la propria impotenza.

Ma a Milano la notte del 31 dicembre è accaduto qualcosa di più, sulla città più europea d’Italia è calato un oscurantismo medioevale, una violenza seriale, ad opera del branco appunto, che ha colpito con le stesse modalità ben undici giovani donne che erano in piazza per festeggiare.

Ho iniziato a scrivere questo articolo pensando a tutte le donne offese, sopraffatte, violentate, possedute, dominate e uccise, perché l’attenzione a questo problema deve essere sempre alta e non basta un giorno, un solo giorno dell’anno, per testimoniare, indignarsi e chiedere alle istituzioni leggi e strumenti che ci tutelino.

Ma, in questo caso, non posso farlo prescindendo dal branco, sintesi del profondo disagio emotivo e comportamentale che vivono gli adolescenti di varia estrazione sociale, italiani e stranieri, che abitano le periferie ma anche i quartieri bene. Questi ragazzi, crescono in una società complessa, incerta, liquida, come l’ha definita Bauman, non hanno riferimenti a cui ancorare il senso del proprio sentire e agire, e vengono sopraffatti da un sistema sociale che non si cura di loro.

Si riuniscono in branco in cerca di un’identità che non hanno, i loro claudicanti io si fondono dando vita a un’entità che li aggrega e che allo stesso tempo resta altro da loro. Nel branco ritrovano il fuorviato senso del loro essere e, sostenuti da alcool e droghe, fanno esplodere la loro rabbia, senza percepire alcun senso di colpa, calati come sono in una perenne realtà virtuale.

La violenza sulle donne ad opera del branco porta quindi drammaticamente alla ribalta due patologie sociali che affondano le loro radici nei sistemi stessi della società, nella emarginazione e nella mancata integrazione degli individui, nella cultura che non è più in grado di trasmettere valori, norme e simboli condivisibili, e, non ultima, nella profonda crisi economica mondiale che ha aumentato le disuguaglianze.

Non ho la pretesa di fornire soluzioni, potrei dire che si dovrebbero attuare delle politiche per combattere i divari sociali, economici e culturali, integrare le periferie urbane nelle città, intervenire sulle famiglie e sulle scuole affinché, giorno dopo giorno, possano educare al rispetto, alla bellezza e creare le basi per costruire un’identità sana. E anche entrare nelle chiese, nei centri di aggregazione e ovunque ci sia bisogno di dare accoglienza e fornire speranza, ma non aggiungerei niente di più a quanto già detto da economisti, sociologi e politici che si occupano di questo.

 A ogni individuo spetta l’agire nel proprio ambito per una società inclusiva, non stancarsi di dare l’esempio con i propri comportamenti.

 Ai mezzi di comunicazione inveceil compito di fare da cassa di risonanza dei disagi sociali, contribuire all’opera di educazione e di crescita delle coscienze e chiedere alla politica di lasciar perdere le beghe tra comari e occuparsi del futuro della società.

Perché una società che non si occupi delle donne e dei giovani, che non operi per l’inclusione e per l’eliminazione delle disparità, una società che non si curi del bene dei cittadini è solo un enorme baraccone fatiscente destinato alla demolizione.

Raffaella Ricci

 

CONDIVIDI

LASCIA UN COMMENTO