Bullismo, colpa delle famiglie? – di Gerardo Settanni

L’esasperata campagna elettorale appena finita, ha ospitato a Brindisi anche diversi convegni sul bullismo; sicuramente è utile parlarne il più possibile, tuttavia trovo difficile spiegarmi come si possa trattare un tema così delicato in una campagna elettorale: parlereste mai di Prevenzione del Tumore con il candidato sindaco a fare da relatore? Ma la cosa che più mi ha preoccupato è il messaggio implicito che spesso è trapelato, cioè che l’origine del disturbo nasce dalle famiglie di questi ragazzi/bulli che diventano portatori di violenza e difficoltà relazionali; la scuola è apparsa a volte come vittima impotente e a volte come possibile “strumento di cura” del problema. Ma ci siamo chiesti dove avvengono le principali manifestazioni di bullismo? Ci siamo mai chiesti se è proprio nell’ambiente scolastico e nei metodi di insegnamento che può scatenarsi la reazione a catena del fenomeno? Lo studente viene visto quasi sempre come una “scatola vuota da riempire” di nozioni e programmi didattici, quasi mai è chiamato a partecipare alla “costruzione” della conoscenza. Gli studenti quasi sempre sono costretti a trascorrere seduti al loro banco ore di lezione, senza una vera partecipazione sia mentale che corporea. Ma molti studi recenti suggeriscono che lo sviluppo della persona e la conoscenza sono un processo integrato che coinvolge sia la mente che il corpo. Ritengo urgente favorire occasioni in cui il ragazzo/studente possa esprimersi anche con la sua energia corporea, per esempio con attività sportiva, ma anche con attività didattiche coinvolgenti il suo corpo attraverso le emozioni. In pratica, anche studiare lettere o matematica è un percorso che deve poter coinvolgere lo studente anche dal punto di vista corporeo, mediante le emozioni. Ritengo che il non poterle esprimere , in tutta la loro ampiezza, sia una delle cause fondamentali dell’accumulo incontrollato di energia che poi sfocia in atti di prevaricazione, disprezzo e violenza verso membri del gruppo ritenuti più deboli, e che a loro volta hanno imparato a trattenere l’aggressività e a inibire la propria autostima.

Gerardo Settanni – Psicologo di Comunità e dello Sport

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