“BRINDISI BENEDETTA”: Una lettura cristiana del ricordo dell’esodo albanese – di Davide Gigliola

In questi giorni la nostra città di Brindisi si ritrova alla ribalta della cronaca nazionale per il ricordo dello sbarco delle popolazioni albanesi (1991/2021). In tanti concittadini affiorano ricordi, racconti, esperienze di ciò che accadde nel marzo del 1991. Non voglio proporre un analisi storica, che pure è doveroso fare quando si ricorda un avvenimento, ma voglio offrire una lettura cristiana di quella pagina scritta ormai 30 anni fa.
In quel 7 marzo del 1991 la città fu raggiunta da navi cariche all’inverosibile di uomini che fuggivono dalla loro Patria, in preda al caos politico e ferita da una poverta’ inaccettabile. Sfidando il mare Adriatico raggiunsero la costa pugliese con la speranza di un domani migliore.
Di fronte a quell’esodo, Brindisi si dimostrò capace di rendere umano ciò che la natura dono’ al suo porto: accolse, sfamò, curò, lavò, vesti’, salvo’ quegli uomini che gridavano aiuto. Benedetta divenne l’acqua del nostro porto. La periferia (a dirla alla Papa Francesco) dell’Italia accoglieva la periferia dell’Europa.
Se volessimo trovare nei Vangeli i verbi di sopra riuscuremmo a fare il riassunto della vita di Gesù Cristo e l’identità profonda del cristiano, perchè cristiano è l’atteggiamanto di chi accoglie. Non per un facile (anche se non per niente scontato) sentimento di pietà , ma “semplicemente” per obbedire a ciò che il Maestro stesso ha chiesto. È dunque doveroso rileggere con attenzione l’intero paragrafo del capitolo 25 del Vangelo di Matteo:
“… “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.
Non ci sarebbe nemmeno bisogno di interpretazione, ma quando la Parola è affilata coma lama, scardina l’ipocrita idea di una “fede” comoda, incapace di sporcarsi le mani e cieca nel vedere nel Prossimo la reale Presenza di Dio, preferendo spesso liturgie barocche cariche di parole inanimate che spalancano la porta al diabolico comportamanto dell’indifferenza.
Lattanzio, nel terzo secolo, aveva notato che, con queste parole, Dio aveva esplicitamente indicato agli uomini qual era la via del bene: “Il principale vincolo che unisce gli uomini fra loro è l’umanità, siamo fratelli, e a motivo della fratellanza che ci unisce Dio ci insegna a fare sempre il bene e non il male. Lui stesso ci ha prescritto in che cosa consista fare il bene: aiutare gli afflitti e i sofferenti, dar da mangiare a chi non ne ha” (Divinae Institutiones). Dovrebbe interrogarsi seriamente chi continua a dirsi cristiano e non riesce a vivere questa fondamentale esigenza delle Fede, preferendo “fare” comunioni invece che diventare da quella Comunione strumento di comunione…
Nel 1991, ha ricordato recentememte in una intervista l’allora direttore della caritas diocesana, l’arcivescovo mons. Settimio Todisco, rivolgendosi alla città disse che “…in questi giorni il volto del prossimo ha il volto delle popolazioni albanesi”. Il prossimo dunque ha un volto, non è astrazione, non è una preghiera vuota. Era ed è il volto, le mani, l’odore di chi concretamente incontriamo. Sulla banchina del porto, sulle strade, nelle scuole (diventante luoghi di accoglienza), nelle parrocchie, nelle case dei brindisini di allora, la prossimità divenne vangelo tradotto.
Certo anche all’epoca le domande politiche ci furono, sul piano nazionale ed europeo. Poche le risposte sopratutto nell’immediato, mentre immediata fu la risposta di tanti concittadini, che senza se e senza ma, si adoperarono nell’offrire il loro sostegno. Tanti lo fecero per spirito di umanità, altri smuovendo il torpore di una fede sterile che fino ad allora forse non aveva avuto la possibilità (o peggio la volontà) di espriemersi concretamante.
Chissà oggi come avremmo reagito… oggi che dire questa verità evangelica è diventato fuori moda, oggi che (rasentando il ridicolo) si urla “prima gli italiani”, cavalcando l’eterna insoddisfazione del presente e la crescente preoccupazione per il futuro.
Magari  oggi qualche politichino avrebbe avuto il “coraggio” di respingerli…, alimentando la paura dell’altro, del diverso… La storia dell’umanità è tristemente piena di queste idee che hanno trovato (e trovano ancora!!) terreno fertile dove cresce la pianta dell’odio. Dovremmo chiederci dov’è oggi il coraggio di quella comunità ecclesiale profetica ed evangelica che visse quel momento storico che oggi ricordiamo. Dobbiamo chiedercelo perché sono cambiati i protagonisti del bisogno, ma ancora una volta il Signore Gesù ci ricorda che “i poveri li avete sempre con voi…” (Matteo 26,11), e quindi a che punto è l’impegno attuale e forse la presa di coscienza di dover fare di più.
L’ultima riflessione a conclusione vorrei che fosse sulla gratitudine del bene. Il cristiano non rivendica e non rinfaccia. Non ostenta. Quanto onore ci fa il sapere di non aver rivendicato la medaglia d’oro al valore civile, sicuramente più che meritata, perché la memoria collettiva che si perpetua nel ricordo diventa non un semplice e banale sentimento di orgoglio, ma comprensione di quanto sia bello essere umani e cristiani. L’essere concittadini di San Lorenzo da Brindisi, cosa che dimentichiamo troppo spesso, che con il suo esempio ci conferma nella Fede, ci sproni anche oggi a vivere le scomode esigenze del Vangelo nel praticare la via della carità concreta partendo dalla conoscenza della Parola di Dio.
Viviamo il ricordo di quel 7 marzo, raccontiamolo ai giovani, riaccendiamo il desiderio di Speranza nello smarrimento attuale. Apriamo cuore e mani come allora. E tornando al testo del Vangelo di Matteo, ricordiamo il modo in cui, al momento del giudizio, il Signore si rivolgerà a coloro che non lo hanno riconosciuto nel prossimo: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli … perché ero straniero e non mi avete accolto… ” (Mt 25,41.43). Non sia dunque la paura della condanna eterna a muoverci (e smuoverci), ma la consolante certezza di poter diventare anche noi oggi strumenti preziosi e utili per rendere questo mondo un angolo di Paradiso, così come lo fu  per gli immigrati albanesi che arrivarono a Brindisi, benedicendone il mare, baciandone la terra divenuta terra santa e sentontosi abbracciati e salvati perché riconosciti da noi fratelli e figli amati da Dio.
Per concludere vorrei citare quello che disse Papa Benedetto XVI all’Angelus recitato sulla banchina di Sant Apollinare nel 2008 in visita nella nostra città : Da questo lembo d’Europa proteso nel Mediterraneo, tra Oriente e Occidente, ci rivolgiamo a Maria, Madre che ci “indica la via” – Odegitria –, donandoci Gesù, Via della pace. La invochiamo da questo antico porto, la preghiamo quale “porto di salvezza” per ogni uomo e per l’intera umanità. La sua materna protezione difenda sempre questa vostra Città e Regione, l’Italia, l’Europa e il mondo intero dalle tempeste che minacciano la fede e i veri valori; permetta alle giovani generazioni di prendere il largo senza paura per affrontare con cristiana speranza il viaggio della vita. Maria, Porto di salvezza, prega per noi!”
Davide Gigliola

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