Mi dispiace per loro… (13 giugno 2018: inizio dei Mondiali)

Domani, a circa tremila chilometri dall’Italia, avrà inizio la fase finale dei Mondiali di calcio 2018. In quella matrioska planetaria competeranno per la prima volta in assoluto Islanda e Panama, ci saranno i ritorni dopo assenze ultradecennali di Perù, Egitto e Marocco eppure, come sempre, non mancheranno le grandi assenti; ci sarà però un’enorme differenza rispetto al solito: noi italiani in genere siamo abituati a commentare divertiti la casella delle non qualificate, spesso ironizzando sulla nazionale fortissima che però ha disatteso le aspettative di qualificazione. Questa volta a mancare all’appello saremo noi!

La Nazionale italiana di calcio dunque non parteciperà ai Mondiali di Russia 2018. Non è riuscita a qualificarsi.È stata eliminata da una modesta seppur battagliera Svezia in una triste serata di novembre.

Un risultato straordinariamente pessimo quanto storico: infatti non accadeva da ben 60 anni (guarda caso quella volta i mondiali si disputarono proprio in Svezia…).

Il C.T. (per fortuna ormai ex) Ventura ha chiesto scusa agli italiani per questa grave “colpa sportiva”; ci può stare, ma credo che bisognerebbe spostare l’attenzione delle sue scuse in particolare verso una categoria ben precisa di italiani: i bambini!

Certo, per noi adulti (appassionati di calcio e non) risulta comunque un “trauma”, un dispiacere; per l’intero Paese e per il movimento calcistico un ingente danno di immagine, economico e soprattutto di prestigio. Ma per i bambini italiani è ancora più grave: è un sogno che va in frantumi. Una storia che non potrà essere vissuta né allo stesso tempo sognata. Poiché il calcio, come ogni sport, è pur sempre un gioco. E per i bambini giocare è tutto. È vivere e sognare allo stesso tempo.

Ripenso a ciò che hanno significato per me, da bambino, i Mondiali di calcio.

Durante le notti magiche di Gianna Nannini ed Edoardo Bennato, avevo solo due anni e mezzo ma ricordo bene le corse sfrenate per gli spazi aperti di casa a mare dei nonni, “sotto il cielo di un’estate italiana”: calzoncini, sandali, gelato in una mano e bandiera tricolore nell’altra. Gli adulti assistevano alla semifinale di Napoli contro l’Argentina in TV invocando il gol mentre io correvo e calciavo il mio immancabile amico pallone implorando che il gelato, sciogliendosi, non sporcasse i miei calzoncini nuovi. E mentre facevo ciò, sognavo di imitare le gesta di Totò Schillaci. La crudele lotteria dei rigori mandò in finale l’Argentina. Ma per un bambino come me all’epoca poco importò, l’esito di quella importantissima partita non potette impedirmi di continuare a correre con un gelato in mano,inseguendo e calciando un pallone per l’intera estate.

E che dire del mondiale americano del ’94… la novità per me era il televideo, consultato ogni giorno insieme a mio fratello per commentare insieme lo straordinario cammino degli Azzurri fino alla finale.

Ricordo che agli ottavi di finale, mentre eravamo in svantaggio contro la Nigeria, mio zio mi prendeva in giro per le mie scarpette nuove, tinte di bianco e verde, guarda caso gli stessi colori dei nostri avversari che ci stavano per eliminare…quindi io stizzito e contrariato abbandonai la mia postazione preferita (per informazioni chiedere alle ginocchia di mio padre) e preferii prendere a calci il mio solito amico pallone contro il muro, piuttosto che assistere inerme alle immagini di quella sconfitta ormai in arrivo, invocando invano la rete del mio idolo Daniele Massaro. Ma di colpo si illuminò la stella di Roberto Baggio, il quale decise che i sogni di noi bambini non potevano interrompersi bruscamente in un afoso pomeriggio di luglio, ma sarebbero dovuti andare avanti. Almeno fino alla finale.

Dove purtroppo però, ancora una volta, i rigori ci furono fatali. Fu la prima volta che piansi per una partita di calcio; provai un enorme senso di ingiustizia: fu irragionevole arrivare fino alla finale per poi perderla in quel modo crudele. La rabbia e la delusione furono solo mitigate dall’idea che, avendo vinto il Brasile, un altro mio idolo prematuramente e tragicamente scomparso durante una gara di Formula Uno due mesi prima, da lassù avrebbe potuto gioire per la propria Nazionale.

In fondo per me, per rivivere un sogno simile, bastava semplicemente attendere altri 4 anni.

E come non ricordare Francia ’98, il primo mondiale a 32 squadre. Già un mese prima che iniziasse, a scuola con gli amici ci si divertiva a comporre il calendario delle partite e si discuteva animatamente sulla futura composizione del tabellone, su quale nazionale avesse fatto più strada, su chi era pro Baggio e chi pro Del Piero; alcuni miei amici rimasero delusi alla scoperta che nella rosa del Giappone non comparivano il numero 10 Oliver Hutton e il numero 1 Benjamin Price (al secolo Holly e Benji), altri rimasero sorpresi dall’esistenza della neonata Croazia: sui nostri libri di geografia di quarta elementare e sulle mappe appese sui muri era riportata ancora la Jugoslavia unita!

La musica di quell’estate fu “Da me a te” di Claudio Baglioni; l’eroe di quel torneo fu Bobo Vieri, il cui nome veniva ripetutamente scandito dalla voce emozionata del mitico Pizzul. Il “Bruno nazionale” dopo due cocenti eliminazioni ai calci di rigore sognava finalmente un trionfo azzurro. E noi bambini degli anni ’90 sognavamo con lui. Ma il rumore della traversa di Di Biagio contro la Francia ai quarti, che ancora rimbomba nelle nostre orecchie e nelle nostre menti, pose fine ai nostri sogni.

Negli anni ’90 pur avendo avuto sempre una Nazionale fortissima, non si è vinto nulla (terzo posto, finalisti, quarti di finale) ma non importa. Ci hanno fatto sognare. Sono stati l’esempio che ci ha fatto credere che si può e si deve provare a conquistare il mondo! E tutto questo tramite ciò che per i bambini è un semplice e prezioso gioco. Non credo che i bambini di oggi potranno dire la stessa cosa…

Il calcio, tra le altre cose, è un importante mezzo per sviluppare e consolidare una sempre più bistrattata unità nazionale. Di questi tempi, soprattutto per quanto riguarda i più giovani, c’è fortemente bisogno di questi mezzi.

Nello sport, come nella vita, si vince e si perde; ma come sosteneva il barone De Coubertin, inventore dei Giochi Olimpici moderni, l’importante è partecipare.

Caro Ventura, chiedi scusa ai bambini italiani, poiché in questo caso non si parteciperà neppure. Ed essi non potranno sognare. E mi dispiace enormemente per loro.

Non ci resta che programmare il futuro, in quanto il presente coincide con il punto più basso della storia calcistica italiana. A voler essere ottimisti, bisogna puntare sulla crescita dei settori giovanili. È necessario ed ambizioso ripartire dai vivai, magari provando ad insegnare ai giovani calciatori più tecnica e meno schemi di gioco (Spagna e Germania hanno da tempo tracciato questa linea e non a caso sono state le due Nazionali a susseguirsiagli Azzurri nella gloriosa voce “Campioni del mondo”), dar libero sfogo al talento che ogni ragazzo possiede, evitando di incastrarli in complessi costrutti tattici come invece ormai in Italia si usa fare da diverso tempo; di fatto, sono decenni che non si riesce a sfornare nuovi Baggio, Del Piero, Totti, Pirlo ecc.

Riportando sempre le parole di Baglioni nel sopracitato brano del 1998, per fortuna verranno nuovi talenti: “Ed altri ancora come noi saranno nuova storia, di resa e di vittoria, uomini forse eroi”. Toccherà agli addetti ai lavori fare in modo che i ragazzi possano crescere nella maniera più soddisfacente possibile, diventando innanzitutto uomini e, perché no, eroi.

Nota finale: dal momento che nella vita ci sono cose ben più importanti del calcio (per noi italiani, come ci insegna Winston Churchill, accettare questa frase è alquanto arduo), prendendo spunto da questeriflessioniil mio pensiero va ai bambini siriani; e non perché la loro Nazionale per la prima volta ha accarezzato concretamente una storica qualificazione, senza però essere riuscita ad ottenerla (sarebbe stato comunque un bellissimo tentativo di riscatto sociale), ma perché essi avranno sogni ancora più grandi, più importanti e più urgenti da realizzare. (Foto Il Fatto Quotidiano).

Roberto Pichero

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