“Superficie” di Diego De Silva

Superficie, il nuovo libro di Diego De Silva (da poco pubblicato per Einaudi), lascia ad una prima lettura spiazzati: in realtà si fa presto a rendersi conto che l’amatissimo autore partenopeo, accantonata stavolta la forma del romanzo, stia affinando ulteriormente la sua capacità di ascolto delle voci e dei suoni del mondo per condividerne gli effetti stranianti con i lettori. Ne viene fuori un libro che fa da amplificatore alla colonna sonora del nostro tempo: quel rumore bianco col suo brusio continuo e rassicurante, mai solcato da interruzioni periodiche, e talmente ampio da accogliere gli accordi più imprevedibili del pensiero.

Che siano idee che ogni tanto fanno capolino, o brandelli di conversazione ascoltati per caso nelle attese che scandiscono il giorno, o istantanee sonore di un monologo radiofonico, tutte concorrono a comporre un ritornello, giocando ad inseguirsi attraverso le pagine. E di nascosto ci strappano un sorriso, ci inducono a provare un certo imbarazzo o a sorprenderci di quanto senso possa celarsi nell’immensa superficialità che continuamente esprimiamo. Dunque «tu adesso ti siedi e mi spieghi il significato della frase: “Questo vino è molto tannico”. Ma come la assegnano, la bandiera blu? In teologia non si danno risposte. Ho già un fastidioso ritardo, se almeno fate il fastidio di non interrompere. L’hai vista la pubblicità di quello che si alza di notte per andare a sistemare la passata di pomodoro sgli scaffali del supermercato? Pasolini aveva capito tutto». Che non sia proprio come vuole un altro luogo comune catturato dall’orecchio di De Silva: «abbiamo cambiato il mondo, ma è venuto peggio»?

Diana A. Politano

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