Stefàno: “Emiliano pensi a fare il governatore”. Misiani: “Il Pd cambi classe dirigente”

CEGLIE – “A Emiliano voglio dire una cosa: chi fa il governatore della Puglia, non può fare il leader politico nazionale. Quando si ha l’onore di governare una Regione, la Nazione o una Città bisogna farlo con dedizione totale”. Con queste parole il senatore del Pd Dario Stefano, componente della commissione Bilancio a Palazzo Madama, intervenuto a ‘La Piazza’ – la tre giorni di dibattiti organizzata dal direttore di Affaritaliani.it Angelo Maria Perrino a Ceglie Messapica – lancia un messaggio chiaro e inequivocabile al presidente della Regione Michele Emiliano.

Boccia ha sottolineato i meriti del PD nell’era di Vendola. Il tuo parere? “Nessuna gara o classifica tra Emiliano e Vendola sui meriti dei progressi fatti in Puglia. Meriti che in questi anni hanno portato la nostra regione a un protagonismo di livello internazionale mai conosciuto prima. Questo è merito della vecchia e della nuova esperienza. Io condivido quello che ha detto Francesco (Boccia, ndr): si tratta di due leadership diverse, e ritengo sia un errore disconoscere l’esperienza Vendola. E’ stato davvero un innegabile valore per la Puglia, che anche gli avversari ci riconoscono e che su alcuni settori va addirittura rimpianto.

Tipo sul turismo? “Credo che da qualche anno su questo fronte, dopo tanto successo, la politica ha perso un po’ del terreno che aveva saputo conquistare. Perché? Perché abbiamo smesso di provare a superare il concetto del sole e del mare, in quanto in un mondo in cui con un volo low cost puoi andare ovunque, sole e mare non bastano più. Bisognava metterci altro, bisognava metterci un racconto, un’esperienza diversa di quella che potresti vivere a Dubai o in altri luoghi con sole e mare. Se io adotto un modello alla Briatore, io smarrisco il valore aggiunto della mia peculiarità. Il modello di Briatore lo trovi ovunque, ma le tradizioni, le ruralità, le emozioni, il vino, la gastronomia della Puglia le trovi solo in Puglia. Ecco, su questo modello abbiamo smesso di riflettere. Io quando trovo in una masseria pugliese il prosecco veneto, io mi arrabbio. Io non posso andare a Manduria e non vedere in un bar l’esplosione identitaria del Primitivo di Manduria che è il vitigno più identitario al mondo. Ed è sulla nostra identità che noi dobbiamo puntare”.

Il Brand Puglia è stata una tua grande battaglia. “Quella è stata una mia grandissima battaglia. Dovere delle istituzioni è tenere il sistema territoriale unito. La Puglia può vincere perché da qualsiasi lato la si guardi ha una sua diversità: abbiamo sei terre diverse, sei agricolture diverse, sei dialetti diversi, sei patrimoni diversi, sei cucine diverse. Tutta questa diversità diventa valore se la teniamo sotto un’unica offerta, che dà al turista in un solo viaggio tante esperienze diverse”. “Qualche anno fa – prosegue Stefàno – nel 2005 partecipai con Prodi alla più grande spedizione imprenditoriale mai fatta dall’Italia in Cina. Ebbene, avevamo difficoltà a spiegare loro la Puglia. Vendola dovette disegnarla con una matita. Ma parlavamo un’unica lingua. Oggi invece vedo nuovamente il conflitto tra le varie province”.

In chiusura del suo intervento, Stefàno non risparmia un messaggio al governatore della Puglia. “A Emiliano voglio dire una cosa: chi fa il governatore della Puglia, non può fare il leader politico nazionale. Quando si governa e si ha l’onore di governare una Regione, lo Stato o una Città bisogna farlo con dedizione totale. Non come Toninelli che con i morti ancora sulle macerie stava in vacanza in Puglia. Quando Vendola mi telefonò per dirmi che ero entrato in giunta io chiusi la telefonata e dissi a mia moglie: accetto solo se tu mi dici che posso farlo. Perché se io accetto tu non mi vedrai più come oggi e mi dedicherò anima e corpo a questo incarico. E accettai”.

Quando Berlusconi sente il suo nome gli viene l’orticaria. Da presidente della Commissione parlamentare sulle incompatibilità decretasti la sua sopravvenuta incandidabilità: “A me quella vicenda ha un po’ cambiato la vita, costringendomi ad avere la scorta e ad altre invasioni della mia sfera personale. Molti oggi contestano la legge Severino, che portò a quella incandidabilità, ma nessuno ha il coraggio oggi di modificarla. Perché è un principio di civiltà stabilire che chi è stato condannato in via definitiva per reati gravi non possa avere l’onore servire il proprio Paese”.

“Dobbiamo finirla di mettere la polvere sotto al tappeto. Il 4 marzo abbiamo subito una sconfitta storica. Ora si cambi linea e si cambi anche il gruppo dirigente. Non dovrà essere un semplice congresso”. Con queste parole il senatore Antonio Misiani, ex responsabile amministrativo del Pd e custode del forziere democratico, oggi capogruppo Pd in Commissione Bilancio al Senato, intervenuto a ‘La Piazza’ – la tre giorni di dibattiti organizzata dal direttore di Affaritaliani.it Angelo Maria Perrino a Ceglie Messapica – sottolinea i passi che il Pd dovrà compiere nel prossimo congresso, se vorrà riconquistare i consensi perduti.

Che succede nel Partito Democratico? “Succede che siamo passati da 11 milioni a 6 milioni di voti. Parliamo di una rivoluzione e il minimo sindacale che possiamo fare è rimetterci in discussione profondamente e radicalmente. Quando un partito perde così cambia linea e cambia gruppo dirigente. Deve succedere. Lo vogliamo chiamare congresso? Ok. Ma non deve esaurirsi tutto in una domenica ai gazebo. Non basta scegliere il leader. Bisogna aprire una discussione con tutti e non solo con i nostri militanti. Bisogna fare un lavoro anche aspro sui contenuti, ma senza gare di bellezza”.

La candidatura di Zingaretti? “Zingaretti è una risorsa importante. E’ uno che ha vinto le elezioni nello stesso giorno in cui il Pd le perdeva. Però dobbiamo, ripeto, partire dai contenuti e non dalle persone. Sarà questo che mobiliterà gli italiani preoccupati dalla piega che stanno prendendo gli eventi con queste forzature, gli strappi di Salvini e Di Maio”.

Come giudichi l’azione di Martina? “Sta facendo uno sforzo molto generoso nel momento più difficile della storia del PD. E lo sta facendo con umiltà, consapevole di non avere il carisma di Renzi, perfino prendendosi i fischi come accaduto a Genova”.

Sei stato a lungo Tesoriere del partito. Cosa ne pensi di ciò che sta accadendo alle casse del partito della Lega, i 49 milioni, i sequestri e il rischio di dissoluzione del partito? “La Lega, e questo è accertato, ha in maniera indebita intascato 49 milioni e li ha spesi. La magistratura ha stabilito che la Lega deve restituire ai contribuenti quei soldi che ha preso illecitamente e speso. Si chiama rispetto delle regole. Ed altrettanto grave, in questa vicenda, è il silenzio del Movimento 5 Stelle. E’ un atteggiamento perfino peggiore di quello di Salvini. Il solito sistema dei due pesi e delle due misure. E’ successo con l’indagine su Salvini e sta succedendo sui 49 milioni. Questi sono forcaioli con gli altri e garantisti con se stessi e i loro amici”.

Cosa mi dici di questa tendenza dei parlamentari singoli a farsi le fondazioni da sé, con ricerche di fondi autonoma dai partiti? “Allora, la creazione di fondazioni è garantita dalla Costituzione. Il punto è un altro, e cioè che molti di questi parlamentari fanno queste raccolte fondi con queste fondazioni senza rispettare le stesse regole di trasparenza che devono rispettare i partiti. I cittadini devono sapere chi ti finanzia. Io sono legittimato a prendere soldi da una certa azienda. Ma i miei elettori devono saperlo, perché devono sapere se io sto favorendo chi mi ha finanziato. Esattamente come succede in America. In Italia lo si sa per i partiti e non lo si sa per le fondazioni. Così come è tempo di regolarizzare le lobbies che altrove esistono e sono regolamentate. Ci stiamo provando da anni, ma senza esito. Ora bisogna passare dalle parole ai fatti”.

Su questo mi trovi pienamente d’accordo. Io ho davvero sofferto quando ho visto che l’Ilva dei Riva finanziava tutto l’arco costituzionale: “Per questo dico che bisogna sapere per poi giudicare. E per questo ritengo che sia preferibile che la maggior fonte di finanziamento della politica sua pubblica. Perché una politica interamente affidata ai privati è una politica che rischia di non essere libera e indipendente”.

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