“Non lasciarmi” di Kazuo Ishiguro

Immaginate un romanzo che, nonostante l’apparente linearità ed asciuttezza della narrazione, sia in grado di lasciar presagire fin dalle prime pagine scenari di profonda inquietudine; una storia in cui parole come «donare» e «speciale» assumano una connotazione spiccatamente sinistra, ben lontana dalla valenza generalmente positiva, o comunque neutra, che si è soliti attribuire loro. Pensate ad un libro che descriva un mondo dal quale appaia bandita la volontà dei singoli e in cui le tempeste emozionali risultino, tranne qualche caso – più unico che raro –  perennemente mitigate; andate con la mente ad un luogo retto da norme consuetudinarie la cui forza coattiva superi la potenza di qualunque legge e in cui le dinamiche di gruppo si dispiegano secondo schemi al contempo ripetitivi e sorprendenti. Lo scenario parrebbe sin d’ora degno di una disturbante trama distopica: d’altronde, l’esistenza di collegi in cui vengono amorevolmente allevati, istruiti e preparati ad una vita apparentemente ordinaria centinaia di cloni, impiegati poi – ben prima del raggiungimento della mezza età – come donatori di organi costituirebbe già un punto di partenza notevole, non fosse per l’irrompere prepotente dell’imprevisto. Ecco l’amore, l’amicizia, il disperato bisogno di abbandonarsi alla dolce nostalgia di un passato di cui non si posseggono i contorni, di esercitare la memoria conferendo una forma intelligibile all’esistenza, di saldare faticosamente tutte le tessere di un puzzle restituendone alla vista anche le sfumature più tenui, quelle che si perdono con gli intagli. A rimescolare bene tutti questi ingredienti si ottiene Non lasciarmi di Kazuo Ishiguro, il vincitore del Premio Nobel per la Letteratura 2017: un libro che nonostante tutto è una storia d’amore in cui a farci da guida nell’insondabile è Kathy, insieme alle voci di Tommy e di Ruth. Il commovente mistero delle loro vite forse non riuscirà a sottrarsi all’inevitabile, ma saprà fare propria la dolcezza di un vecchio mondo gentile, del Norfolk inglese come rifugio dell’anima in cui «ritrovare tutti i nostri oggetti dimenticati».

Diana A. Politano

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