“Matrigna” di Teresa Ciabatti

Ancora una volta un libro di Teresa Ciabatti sembra volerci spingere attraverso le stanze più segrete della casa di una famiglia, in fondo a quei ripostigli emotivi che ne condizionano la storia e ne minacciano la serenità. Se nel notevole La più amata (giunto nella cinquina finalista all’ultima edizione del Premio Strega, e di cui si è già parlato in questa rubrica) Teresa Ciabatti affondava il proprio talento narrativo nella materia incandescente dell’autobiografia e arrivava, come è stato detto, a disonorare il padre per onorarlo, nel nuovo Matrigna (Solferino edizioni) la battaglia della protagonista Noemi è tutta contro la madre. Una madre giovane e bella che, agli occhi di Noemi ancora bambina e nel libro descritta con le parole della donna che è nel frattempo diventata, non fa mistero di nutrire un affetto speciale ed esclusivo verso il figlio minore Andrea – bimbo bellissimo, biondo, con gli occhi azzurri, scomparso durante un veglione di Carnevale, quando la stretta che legava la sua manina a quella della sorella si allenta. «Era inverno quando mio fratello sparì. La mamma mi aveva chiesto di tenerlo per mano. Dunque è da questa mano che si è staccato. E dunque se avessi stretto più forte, se solo avessi stretto fino a fargli male pur di non perderlo in mezzo alla gente che spingeva, e alla cascata di coriandoli, se solo io, Noemi, nove anni appena compiuti, avessi stretto fortissimo»: comincia con queste parole il romanzo, con l’oggettiva ricostruzio di quello che sarà il nucleo del libro; è chiaro che la misteriosa scomparsa non potrà che alimentare un indicibile senso di colpa, e poi anche il sospetto, la disperazione e – inevitabile corollario – il clamore mediatico (almeno fino a quando l’interesse del pubblico è disposto a perdurare). Noemi sembrerà essere lì per sbaglio, sempre ai margini dell’inquadratura, schiva e terribilmente banale, disperatamente tormentata perché lei, sì, di quel fratellino così adorato era gelosa. Per continuare a vivere bisognerà allontanarsi, conquistare a fatica l’indipendenza dalle ombre del passato e dalle proprie ossessioni, eppure – nonostante la battaglia possa dirsi vinta – i ritorni talvolta si impongono.  E Noemi rivela che possono diventare persino dolci e rappresentare (prima di nuovi e definitivi allontanamenti) il raggiungimento della tanto agognata quiete («La quiete non è altro che il luogo in cui tu e tua madre trovate riposo, lasciando che ciascuna creda, s’illuda, in questo limbo che è la sopravvivenza della vostra unica persona»), l’esatto realizzarsi della citazione da Adorno che apre il libro – «Un pazzo fa molti pazzi» – nella sua inquietante, e pure salvifica, promessa.

Diana A. Politano

 

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