Tra i giovani più alternativi ha sempre fatto ‘figo’ dire di ascoltare Leonard Cohen e probabilmente, oggi, ne conosceranno le gesta artistiche anche i ragazzini “Pane edAfterhours”. Questo perché l’infinito pianeta della musica di qualità ha perso un altro dei suoi poeti migliori. Muore alla veneranda età di 82 anni l’inconfondibile voce roca di capolavori come Hallelujah, Suzanne e Birdon a Wire. Non rivelandone il come ed il perché, la sua casa discografica Sony Music Canada sui social scrive «Con profondo dolore comunichiamo che il leggendario poeta, cantautore ed artista Leonard Cohen è morto. Abbiamo perso uno dei più venerati e prolifici visionari. Una commemorazione si terrà a Los Angeles fra qualche giorno. La famiglia richiede il rispetto della privacy nel suo periodo di dolore». Leonard Cohen, tra i pionieri di quella generazione emersa fra gli anni Sessanta e Settanta è stato un cantautore davvero indelebile. Nato in Canada il 21 settembre 1934 a Westmountnel Quebec, il cantante imparando a suonare la chitarra da ragazzo aveva formato una folk-band, i Buckskin Boys. Capisce presto però, che la sua interpretazione in musica doveva basarsi sulla poesia, ispirato probabilmente anche dalle liriche di Federico Garcia Lorca. Laureatosi alla McGillUniversity, nel 1964 si era trasferito nell’isola greca di Hydra dove aveva pubblicato “Flowers for Hitler”, sua prima raccolta di poesie assieme ai racconti “The Favourite Game” e “Beautiful Losers” sempre nei mitici anni’60. Tornato negli States, conobbe la cantante folk Judy Collins, che inserì due canzoni di Cohen nel suo album “In my life”. Una delle due era “Suzanne”, il primo grande successo di Cohen. Le sue frequentazioni nella Big Apple comprendevano il leggendario Andy Warhol e i Velvet Underground con la cantante tedesca Nico che probabilmente spingono il suo talento a diventare immortale nella storia della musica. Nel 1967 esce “Songs of Leonard Cohen”, disco di atmosfere tristi e melanconiche che mal si adattavano allo stampo hippie dell’epoca. Eppure, come esempio classico di long seller, questo disco venne ampiamente rivalutato nel corso degli anni malgrado una tiepida accoglienza iniziale. Ad oggi, da molti smanettoni degli LP ed i critici del settore è considerato il miglior disco di Cohen, nonché un capolavoro della musica cantautorale mondiale. Forse, tra il suo brano più celebre perché orecchiabile e ben plasmabile in tutti i generi musicali è stato Hallelujah del 1984. Una composizione canticchiata anche in chiesa dalle bigotte semprevergini, dopo l’interpretazione di Jeff Buckleynel 1994 (meravigliosa) e di Bono degli U2, oggi ripresa e cantata a mò di coro dell’antoniano per l’ultima versione prodotta in chiave pop dai Pentatonix come a mettere d’accordo ogni età in clima natalizio. «Non ho mai avuto la sensazione che ci fosse una fine – diceva Leonard nel 1992 -. Che ci fosse un momento di ritirarsi». E così è stato: Cohen è stato uno dei pochi artisti “nonni” della sua generazione ad avere successo anche oggi con “YouWantItDarker” suo ultimo album,pubblicato quest’anno superati gli 80 suonati (è proprio il caso di dirlo).  Chissà quanti ragazzini intoneranno qualche suo pezzo anche negli anni avvenire, chissà quanto memorabile sarà il suo apporto dolce e sensibile allo svariato mondo della musica ricercata. Riposa in pace zio Leonard.

Emanuele Vasta
Redazione
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