L’ANGOLO DEI LIBRI – “L’acqua del lago non è mai dolce” di Giulia Caminito

L’acqua del lago non è mai dolce è il nuovo romanzo di Giulia Caminito, uscito per Bompiani all’inizio dell’anno e fra i dodici candidati al LXXV Premio Strega. Al centro della storia c’è Gaia e, insieme a lei, l’evoluzione tortuosa che la vede protagonista negli anni dell’adolescenza e della giovinezza. A farle da satelliti, numerose figure che di volta in volta ne smorzano o ne esaltano la personalità in formazione: prima fra tutte, la madre Antonia, donna energica e proletaria, con la «tenace fissazione per le cose giuste», che si adopera con fermezza per riempire di scopo i giorni della figlia e che tuttavia finisce per rappresentare il modello a cui contrapporsi. Poi ci sono le amiche – Agata, Carlotta, e poi Iris e Elena – con le quali farsi strada tra i fosforescenti primi anni Duemila dopo essere arrivate a riconoscersi per il bisogno di incontrarsi, per l’urgenza di appartenere ad un gruppo («siamo tre castelli arroccati, desideriamo un esercito che ci difenda, cerchiamo qualcuno che presidi la fortezza»); infine, i ragazzi – fantasmi con i nomi di Andrea, Federico, Samuele, Luciano, Cristiano, che amano, tradiscono, vivono senza profondità apparente e che si ritagliano ruoli di puro contorno. Il racconto che Gaia fa, utilizzando una prima persona disperata e rabbiosa, riporta la miseria della sua famiglia, l’invalidità del padre, la difficoltà sconcertante di vedersi riconosciuto il diritto ad una casa, il degrado di tutte le periferie: «penso che siamo materiali di scarto, carte inutili in un gioco complicato, biglie scheggiate che non rotolano più». Gaia si adegua al desiderio della madre di affermarsi attraverso lo studio, di faticare per poter camminare a testa alta, di impadronirsi dei nomi delle cose: non a caso è la madre Antonia che le regala un dizionario, perché insieme possano imparare parole per la prima volta e risalire alle origini di melologo – la prima parola su cui il dito si posa –, sognando magari che quel canto possa durare per sempre. Peccato che la vita a volte riservi poche occasioni per dare sostanza ad alcune definizioni etimologiche: se coraggio «ha a che fare col cuore, con quanto cuore metti e quanto lo butti lontano», Gaia sperimenta il buio racchiuso tra alcune parentesi quadre, che è pari all’oscurità sinistra che arriva dal fondo del lago di Bracciano, sulle cui sponde la sua vita si dipana. Guardare al fondo di sè stessi non è esercizio da poco, riconoscere che ci sono molte cose ormai perse e solo da rimpiangere è un dolore che apre crateri al centro del petto. Un cratere, un vulcano spento: questo è il lago della giovinezza, eppure è l’unico luogo a cui poter tornare per sentire sciogliersi quel grumo di rabbia che impedisce di galleggiare.

Diana A. Politano

 

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