“La ragazza del Bauhaus” di Theresia Enzensberger

Luise Schilling è una giovane donna quando, nel 1921, lascia la ricca famiglia berlinese per trasferirsi a Weimar e iscriversi al corso di Architettura presso lo Staatliches Bauhaus – scuola di architettura, arte e design nata due anni prima. Non soltanto una scuola invero, quanto piuttosto il fulcro dell’innovazione progettuale e dello sperimentalismo culturale europeo del tempo: è esattamente di questo sogno avanguardistico che Luise spera di far parte, animata da amore profondo per la progettazione e dal categorico rifiuto del futuro per lei disegnato dal ricco padre industriale – un buon matrimonio e poi il ruolo borghese di signora. La ragazza del Bauhaus di Theresia Enzensberger, da poco uscito per Guanda, contiene in sé i molteplici toni di cui può tingersi un romanzo di formazione narrato in prima persona dalla stessa protagonista: l’esaltante eco delle voci di Walter Gropius, Vasilij Kandinskj, Paul Klee e Johannes Itten; l’euforia dei brindisi e delle feste; il cuore che si esercita nelle prime corrispondenze amorose; lo studio in biblioteca ad «addomesticare equazioni» e quel sentirsi parte di una comunità di pensiero unica al mondo – sullo sfondo di una Germania che pare precipitarsi verso l’abisso che di lì a poco la inghiottirà.

Il racconto si sviluppa ripercorrendo le diverse correnti interne della scuola, i confronti talvolta aspri tra i docenti, ci conduce attraverso gli ambienti dei celebri edifici che hanno fatto la storia del Bauhaus e i pavimenti di triolin ed è costellato di richiami ai progetti simbolo dell’architettura novecentesca (tra gli altri, l’edificio che accoglierà la scuola a Dessau) o ad oggetti divenuti iconici. Non mancano tuttavia forti contraddizioni, che Luise sperimenta nei suoi anni al Bauhaus: un ambiente intellettuale ove vige, a dispetto delle teoriche enunciazioni in materia di parità di genere, un deciso maschilismo e, in alcuni casi, un egoismo poco compatibile con le idee su cui la scuola si fondava. In Italia il libro è uscito proprio nell’anno in cui si celebra il centenario della nascita di questo mirabile esperimento artistico e didattico che poneva al centro della sua riflessione l’uomo e ne illuminava scopo, senso e vita rifuggendo in ogni modo (almeno fino al suo scioglimento, nel 1933, ad opera del regime nazionalsocialista) la sua riduzione in schiavitù da parte della macchina.

Diana A. Politano

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