La prima della Scala: un evento su cui il labbro non può tacer … – di Gabriele D’Amelj Melodia

Arte, mondanità, retorica, commenti banali e qualche castroneria

La prima scaligera, col suo imponente bagaglio di tradizione, è da sempre un fenomeno artistico ed anche di costume. Per questo appassiona e coinvolge non solo gli addetti ai lavori ma anche i comuni spettatori, sia quelli presenti in teatro che i milioni di persone che l’hanno vissuta nel salotto dei casa. Da modesto ma appassionato  melomane, vorrei esporre alcune mie considerazioni all’attenzione dei lettori.
Al netto degli altarini stucchevoli e assai convenzionali nei quali annualmente si celebrano le presentazioni televisive, con il foyer affollato da damazze ingioiellate che, con finta nonchalance, attraversano  il campo di ripresa in attesa di essere convocate al microfono per rilasciare le solite banali dichiarazioni, la vaporosa atmosfera d’operetta che contamina presentatori e vari ospiti favorisce sempre una lettura dorata e trionfalistica in cui non trova spazio neppure un’ombra di critica negativa, neanche una nuance di sommessa perplessità in merito ad alcune scelte o effetti  kitsch. In questo mare magnum di consensi bulgari frutto di un panbuonismo prenatalizio, vorrei permettermi di alzare il ditino per fare qualche osservazione.
Se la lettura del M. Chailly e l’esecuzione orchestrali non lasciano dubbi, qualche riserva invece la nutro sulle performance dei cantanti. Alle ottime prestazioni di Netrebko e Salsi ha fatto da contraltare la buona prova di Meli che comunque ha deluso in “Lucean le stelle”,  e l’imbarazzante resa di uno Spoletta che è apparso più danneggiato del suo omonimo accessorio bombarolo brindisino.
Sulle esecuzione dei cantanti bisogna fare chiarezza. Se teniamo presente il passato confrontando i miti di Callas, Kabaivanska, Pavarotti e Domingo con gli attuali interpreti allora non c’è partita. Sarebbe come paragonare Garrincha a Bernardeschi. M se consideriamo ogni evento artistico nel suo presente, naturale contesto storico, allora alziamo pure gli scudi e godiamo di quello che passa il convento.
Regia, scenografia e costumi sono ovviamente stati di grande livello, come si conviene ad un simile prestigioso evento. Tuttavia, proprio perché si trattava di optimum, non dovevano  esserci sbavature di sorta, come invece ci sono state. La straordinaria macchina  scaligera, che vanta circa mille dipendenti guidati da fior di professionisti strapagati ed osannati, ha prodotto alcune  incongruenze che mi permetto di segnalare.
1) Nel salone del barone Scarpia, troneggia a lungo una sedia. Purtroppo si tratta di una Luigi Filippo, prodotta almeno trent’anni dopo il periodo storico in ci si svolge la tragedia di Tosca. 2) Sia Cavaradossi che soprattutto Scarpia, sfoggiano un taglio di capelli assolutamente non in linea con quello in voga nel 1800. Addirittura Scarpia mostra un capello corto scolpito consono più ad un boss della serie Gomorra che ad un nobile papalino del 1800. A quel tempo  si portavano capelli lunghi o mossi, a volte raccolti in codino, e le basette erano lunghe, spesso si portavano i “favoriti”. 3) Quando appare il povero Mario sul terrazzo, pronto per essere fucilato, ha del sangue sulla guancia destra ma le sue tempie appaiono  prive di ferite di sorta, pur avendo subito l’offesa di “un cerchio uncinato” ….
Un’altra piccola cosa che non mi ha convinto, pur non essendo certo un errore, è il vestitone con

cui hanno addobbato la povera Anna-Floria: un informe  lenzuolo ceruleo, chiaro tributo all’IMMinente festeggiata senza macchia.. Ma questa è una notazione marginale dovuta al mio particolare gusto estetico e quindi ci può stare.
Certo la magia della Scala, con tutto il suo apparato kolossal, non può essere adombrata da questi piccoli nei, il tradizionale appuntamento milanese di Sant’Ambrogio è stato comunque un trionfo, anche nella cornice spettacolare che la contorna e la caratterizza.  Molto significativo e commovente è stato il lungo applauso riservato dal pubblico in sala al nostro Presidente Mattarella. Don Sergio è apparso in splendida forma, elegante e paterno, e ha risposto con misurati cenni del capo e delle mani alle ovazioni. Solo che, a un certo punto, non si decideva mai a sedersi e quindi la folla continuava ad applaudirlo, in un circolo vizioso e surreale che mi ha ricordato la famosa gag di Petrolini (grazie – prego). Poi finalmente Chailly ne ha avuto abbastanza e ha imperiosamente dato l’attacco di “Fratelli d’Italia”. Ed è iniziato così il tormento e l’estasi dell’opera pucciniana.
                                                                                                 

Gabriele D’Amelj Melodia

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