“La forma del tempo” di Chiara Lorenzoni e Francesca Dafne Vignaga

Già solo definirlo è impresa ben più che ardua: ordine oggettivo, pura intuizione, struttura della progettazione. Parlare di tempo rappresenta una scommessa dell’intelletto, il tentativo (vano) di oggettivare un’idea impalpabile eppure magnetica, una grandezza nebulosa e allo stesso tempo singolarmente densa. Pensare poi di dargli addirittura una forma, di abbozzarne i possibili contorni è puro azzardo: le lancette di questo nostro tempo, privato e collettivo, sembrano infatti muoversi nelle direzioni più diverse. È l’immaginazione dunque che arriva in aiuto, lo sguardo creativo con cui arrivare lì dove non riescono gli schemi della consuetudine: ne La forma del tempo (Lapis edizioni), il testo di Chiara Lorenzoni e le tavole di Francesca Dafne Vignaga provano a rintracciare un possibile disegno del tempo che incanta gli occhi dei lettori di ogni età.

Ne viene fuori una gemma sfaccettata (e non è un caso che la collana di nome faccia i Lapislazzuli), come molteplici sono le forme di questa idea antichissima e sempre in movimento. Che sia gentile come una balena, grigio come una falena, ingombrante come un elefante o immobile come una lucertola, il tempo è lì – a volte anche distratto, rumoroso o timido – ad accompagnare col suo ritmo misterioso e a riempirsi del valore che le intonazioni del nostro essere gli conferiscono: ci sono giorni in cui è un porcospino («quando ho voglia di stare per conto mio a pensare pensieri tutti miei»), altri in cui – «quando ho paura e voglio essere stretto in un abbraccio» – diventa balena. Soltanto un giorno all’anno la sua forma è quella di una libellula delicata – è il tempo di chiudere gli occhi, soffiare sulle candeline ed esprimere un desiderio silenzioso color arcobaleno.

Diana A. Politano

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