“Il tempo è un bastardo” di Jennifer Egan

Il tempo è un bastardo (minimum fax) è la quarta prova narrativa della scrittrice americana Jennifer Egan: uscito negli Stati Uniti nel 2010, è valso all’autrice il Premio Pulitzer nel 2011 e ha rappresentato un’ulteriore riprova del suo talento nel costruire storie imponenti, capaci di attraversare il tempo individuale e quello collettivo rendendoli vivi e pulsanti. Certo si assiste a un disegno tracciato dal tempo che non è affatto lineare, ma che piuttosto segue percorsi imprevedibili (anticipando, ritardando su pagina ogni suo possibile effetto o, ancora, stravolgendo ciascuna delle legittime aspettative del lettore). La storia muove dagli anni ’70 e giunge, nelle sue estreme propaggini, fino a un futuro a noi prossimo restituendoci i destini dei molti personaggi che ritrae – nel loro vincere sul tempo e nell’esserne totalmente disorientati. Sono tredici i capitoli (sei e poi sette, rispettivamente nelle parti A e B in cui il libro è suddiviso): un album musicale, un concept album in cui a ciascuna delle tracce corrisponde un sentimento, un luogo, una nostalgia, il resoconto di quello che è stato nelle vite di Bennie Salazar (produttore discografico che ha tatuato sulla pelle il fenomeno punk), Sasha (la donna che per un certo tempo ne sarà l’insostituibile braccio destro – cleptomane, dal passato in bilico tra droga, fughe e tentati suicidi) e tutti quei personaggi (Lou, Scotty, Dolly, Kitty, Alex, Drew, Rob, Ally) che a loro si collegano nel presente della narrazione o che verranno. Perché il tempo sarà pure un bastardo ma di sicuro è inappuntabile nello svolgimento del suo lavoro: scorre senza possibilità di arresto e non manca di riservare sorprese. Come quella, per noi lettori, di ritrovare un intero capitolo del libro scritto in forma di slides di Powerpoint da Ally, la dodicenne figlia di Sasha: sono parole che fissano su uno schermo due giorni (il 14 e il 15 maggio di un non meglio precisato anno 202-) nella vita della sua famiglia, tra elenchi di abitudini fastidiose, souvenir sul davanzale, previsioni che si avverano, timori sul futuro e certezze sul presente – proprio lui: sgangherato e umilmente concreto, che sembra non debba finire mai e invece mancherà per sempre.

Diana A. Politano

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