“Il mio romanzo viola profumato” di Ian McEwan

Può la più sincera ed intima delle amicizie resistere alle insidiose spire dell’invidia? All’apparenza sì, stando a Ian McEwan e al suo racconto Il mio romanzo viola profumato (uscito in questi giorni per Einaudi in occasione del settantesimo compleanno dell’amato scrittore britannico). Parker e Jocelyn, i due protagonisti, sono amici da decenni e il loro sembra essere un affetto intimo, complice e affiatato destinato a durare per sempre, nonostante la vita provi gusto a porre le esistenze dei due studiosi di letteratura e aspiranti scrittori agli antipodi: da una parte Jocelyn, narratore che conosce il successo, la fama, i dolci agi mondani che ne conseguono e il riconoscimento della comunità intellettuale; dall’altra Parker, rassegnato com’è alle fatiche della carriera di insegnante, alla tenera confusione di una famiglia numerosa e al progressivo svanire di ogni velleità letteraria.

Sarà quest’ultimo, amico devoto e voce narrante, che il destino metterà nelle condizioni di rubare una vita – sic et simpliciter, senza dolo o premeditazione e, soprattutto, senza intenzione alcuna di ravvedimento. Perché la lettura della magnifica composizione inedita di Jocelyn lo convincerà della possibilità di declinare in forma diversa l’io del racconto – plasmandolo al proprio vissuto, piegandolo al proprio sentire e al proprio pensiero, scrivendo dunque un finale nuovo che sovverta uno status quo che forse si era soltanto finto di non ritenere iniquo. Ed ecco che attraverso le righe di un romanzo si compie il delitto perfetto: l’eliminazione di un io e la sua sostituzione con una narrazione nuova, che nasce intorno ad un altro io. O forse no? Se l’«io è un racconto incessantemente riscritto», siamo tutti romanzieri esperti e raffinati: lo confessa lo stesso Parker che «in fondo, quello sarebbe stato il mio romanzo non meno del suo» e, soprattutto, «voi non ci crederete, ma non avevo nessun piano in mente».

Diana A. Politano

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