A quattro anni di distanza dal suo ultimo lavoro, il musicista brindisino Amerigo Verardi torna con un doppio disco, pubblicato da Prisoner Records, che si afferma come uno dei più belli degli ultimi tempi. Si tratta di Hippie Dixit, album composto da 14 tracce, 14 suite di lunga durata, che affondano le  radici nel rock psichedelico e nella controcultura già inscritti nel suo titolo.

verardi

Gioco di parole divertito e sornione, il titolo apre la via a sonorità complesse assai distanti dalla canzone tradizionale, fondendo esperienze elettroniche, rock, intonazioni orientali e africane, in una trama sonora in cui entrano strumenti come il bendir, djembe, bouzouki, campane tibetane, darbouka e, su tutto, dopo che tutti hanno fatto la loro apparizione, anche il vento del deserto. Il deserto infatti è l’orizzonte della prima suite, L’uomo di Tangeri, bellissima e ipnotica, che sembra essere attraversata dagli uomini in rivolta di Camus, portatori di una loro forza umana e contestataria. Il rock sinfonico di Verardi, coltissimo e denso, si colora di una sua valenza politica, e più in generale civile, in brani come quello dedicato a Brindisi (Brindisi, ai terminali della via Appia), commovente riflessione sul proprio territorio – relitto del paesaggio industriale del Novecento – introdotto da un incipit che tende la mano da lontano ai King Crimson: traccia che è la testimonianza dolente e ironica della storia propria e di un’intera città.

Diana Politano

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