C’è un racconto di cui si è scritto che sia stata la novella più condivisa di sempre: si tratta di Cat Person di Kristen Roupenian, esperimento narrativo (lungo 24 pagine nell’edizione italiana) uscito nel dicembre 2017 sul New Yorker in versione cartacea e digitale e diventato virale nel giro di pochissimo tempo. Il libro che lo contiene, pubblicato in Italia da Einaudi riprendendo il titolo omonimo e in ciò discostandosi dall’originale americano You know you want this, si compone di dodici storie, tutte incentrate sul tema delle relazioni tra i sessi al tempo del #metoo: fascinazione adolescenziale per il proibito, dinamiche di potere, violenza e sopraffazione, insincerità varie, il valore ideale delle proiezioni in un’epoca in cui le relazioni si costruiscono (anche) su whatsapp. A questa trama concettuale già ricca, si aggiunga poi quel sottile filo di inquietudine che attraversa i dodici racconti, come se in agguato ci fosse sempre qualcosa di terribile e gli impulsi più inconfessabili potessero infine scavalcare gli argini fragili imposti dalle nostre coscienze. I punti di vista sono sia femminili che maschili, le frustrazioni le medesime, i frammenti di vita di questi millennials (e adulti e preadolescenti) osservati con spirito distaccato. Si cerca di definirlo l’amore («non sa come chiamarla – quella sensazione di caduta libera ogni volta che guarda Taylor, come se le sue mani afferrassero continuamente il vuoto – ma non è così sciocca da chiamarla amore») però poi si preferisce infilarsi il pigiama più bello e versarsi un bicchiere di Cabernet, quasi preparandosi ad una maratona di serie tv, per godersi lo spettacolo di quanto poco basti per trovarsi vicino all’abisso.
Diana A. Politano