BRINDISI – La memoria delle vittime della Shoah è un dovere civile ed etico per l’intera comunità, affinché le atrocità disumane compiute dalla macchina concentrazionaria nazifascista non ritorni nel presente.  Per queste ragioni, in occasione della celebrazione del “Giorno della Memoria”, giovedì si è svolto presso la Sala Conferenze di Palazzo Granafei-Nervegna di Brindisi l’incontro:  “C’era una donna nel lager”, organizzato dal Coordinamento Provinciale Donne Acli di Brindisi,con la collaborazione del Coordinamento Provinciale Giovani delle Acli di Brindisi, della Presidenza Provinciale delle Acli di Brindisi, dei volontari del Servizio Civile Nazionale e del Liceo Scientifico “Fermi-Monticelli” di Brindisi, insieme al Circolo Acli “Città di Brindisi” e dell’Associazione Acli Arte e Spettacolo di Brindisi e patrocinato dal Comune di Brindisi. L’iniziativa è stata accolta positivamente dalla cittadinanza ed in particolar modo dai giovani. Nell’incontro erano presenti: S.E Mons. Domenico Caliandro; l’Assessore all’Organizzazione Scolastica e allo Sport del Comune di Brindisi, dott.ssa Maria Greco; la vicepreside del Liceo Scientifico Fermi-Monticelli di Brindisi, prof.ssa Teresa Nacci, il Comandante Provinciale dei Carabinieri di Brindisi, col.  Nicola Conforti; il Viceprefetto di Brindisi, dott.ssa Erminia Cicoria e il Questore di Brindisi, dott. Maurizio Masciopinto, i quali hanno espresso parole di elogio per l’iniziativa, evidenziando come sia fondamentale riflettere sulla Shoah insieme alla nuove generazioni, per non dimenticare il genocidio ebraico perpetrato dai nazisti che rischia di essere obliato con la scomparsa dei suoi testimoni diretti. L’incontro è stato introdotto dalla Responsabile del Coordinamento Donne Acli Provinciali di Brindisi, Federica Caniglia che ha sottolineato l’importanza di una lettura di genere della shoah, proprio perché la condizione femminile dei lager permette di asserire l’esistenza di una specificità delle deportazioni femminili. Ha poi evidenziato le ragioni per cui sia importante riflettere sulla Shoah nel XXI secolo, «perché significa interrogarsi sulla nostra storia, ha dichiarato Federica Caniglia –  e sulla condizione della natura umana, significa avviare percorsi di riflessione e di approfondimento storico continui, non necessariamente legati a momenti e a spazi istituzionali, questo per arginare i rischi di una banalizzazione e degenerazione memoriale sempre più dilagante. L’avvertimento di Primo Levi consegnato ai posteri, “É accaduto, quindi può accadere di nuovo […] e dappertutto” desidera mettere in guardia che il crimine compiuto dalla macchina concentrazionaria nazista potrebbe insidiarsi nelle società odierne con altri nomi e forme diverse. Per queste ragioni bisogna sempre vigilare sui fenomeni di intolleranza e di discriminazione razziale che annientano la libertà dell’individuo e la dignità umana» A seguire, il Presidente delle Acli Provinciali di Brindisi, Antonio Albanese, ha evidenziato come l’iniziativa sia anche un momento di riflessione per tutti gli eccidi e i fenomeni di discriminazione razziale che tutt’oggi vengono compiuti. «La memoria di tutte le vittime delle aberranti farneticazioni di sistemi totalitari – ha sottolineato Antonio Albanese – è necessaria per la nostra sopravvivenza, perché ciascuno di noi deve sentirsi impegnato affinché il futuro che costruiamo con le nostre azioni deve fare in modo da non contemplare più derive razziste, xenofobe e totalitarie. La storia insegna che il progresso dell’umanità è avvenuto quando i popoli si sono incontrati per scambiarsi reciprocamente conoscenze, cultura e modi di vivere nel rispetto delle leggi del popolo ospitante e nell’accettazione reciproca. Se ripercorriamo la storia della Shoah, tutte le atrocità che sono state inizialmente commesse sono partite da assurde teorie razziste che per diversi anni sono state accettate e perseguite da milioni di persone che per il principio della razza pura, si sono persuasi di essere dalla parte della ragione. Per questi motivi, gli errori e gli orrori della nostra storia devono servirci da monito e per fare questo ciascuno di noi si deve sentire responsabile e custode della tenuta del valore della “Libertà ” e per la salvaguardia delle istituzioni democratiche, contro lo spettro, che sembra farsi sempre più concreto di derive autoritarie» Al termine il docente Raffaele Pellegrino, Cultore della materia presso l’Università degli Studi di Bari, Responsabile della Sezione Didattica dell’Istituto Storico Pugliese per la Storia dell’Antifascismo e dell’Italia contemporanea e Docente di Filosofia e Storia presso il Liceo Scientifico “A. Volta” di Bari,  ha tracciato un percorso storico e memoriale  a partire dalle riflessioni storiche della studiosa Alessandra Chiappano e dai racconti delle donne internate nei lager, in un meraviglioso ed intenso dialogo, ma nello stesso tempo drammatico per l’orrore narrato, con la brillante attrice, cantante e poetessa, Rosemary Nicassio,  raccontando l’inferno concentrazionario e la sofferenza disumana vissuta dalle donne deportate nei lager.  La peculiarità delle deportazioni femminili, come emerge dai racconti e dalle testimonianze, deriva da tematiche specifiche: il corpo in quanto oggetto di una progressiva disumanizzazione, poiché le deportate venivano spogliate, depilate, rapate e private dei propri effetti personali, annientando in questa maniera la femminilità; le docce con acqua gelida in inverno; la maternità negata, la solidarietà fra le donne ebree, le torture e gli aborti. L’umanità sembrava emergere mediante la musica di un’orchestra femminile, ideata dai carnefici per accompagnare le prigioniere al lavoro e accogliere l’arrivo di nuovi deportati nel campo, oltre che suonare per gli ufficiali SS quando lo desideravano. La musica nel lager è raccontata mediante le testimonianze di due straordinarie musiciste: la pianista e cantante Fania Goldstein e la violinista Alma Rosè.

La serata si è conclusa con le parole di Liliana Segre, deportata italiana a soli 13 anni ad Auschwitz, «spero che almeno uno di quelli che hanno ascoltato oggi questi ricordi di vita vissuta li imprima nella sua memoria e li trasmetta agli altri, perché quando nessuna delle nostre voci si alzerà a dire «io mi ricordo», ci sia qualcuno che abbia raccolto questo messaggio di vita e faccia sì che 6 milioni di persone non siano morte invano per la sola colpa di essere nate, se no tutto questo potrà avvenire nuovamente, in altre forme, con altri nomi, in altri luoghi, per altri motivi. Ma se ogni tanto qualcuno sarà candela accesa e viva della memoria, la speranza del bene e della pace sarà più forte del fanatismo e dell’odio dei nostri assassini».

 

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