Il concetto di estrema moda in questo inizio d’anno è quello di “post-verità”, espressione con la quale si indicano circostanze o situazioni nelle quali l’opinione pubblica viene fortemente condizionata da fattori emotivi, mentre l’oggettività dei fatti è messa in secondo piano.

La post-verità si nutre delle cosiddette “bufale”, ma anche questo è diventato un fattore irrilevante nell’attuale dibattito pubblico. Eppure le implicazioni sono concrete, giacché una proposta basata sulla spinta emotiva invece che su dati razionali non può sortire alcun risultato pratico e concreto a beneficio del singolo individuo, e neanche della comunità civica.

E’ ormai evidente come molti cittadini delusi dalla politica tendano deliberatamente ad ignorare le conseguenze di un confronto che non si basa sui fatti. E questo comporta una lettura del mondo che è sempre più corrotta da affermazioni senza alcuna base oggettiva.

Invero, la politica della post-verità non si sarebbe potuta affermare senza l’irruzione sulla scena sociale di un altro fenomeno contemporaneo, più volte segnalato e stigmatizzato da organizzazioni internazionali come OCSE e nazionali come ISTAT: l’analfabetismo funzionale.

Secondo OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) un analfabeta funzionale è una persona che non è capace “di comprendere, valutare, usare e farsi coinvolgere con testi scritti per intervenire attivamente nella società, per raggiungere i propri obiettivi e per sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità”.

Un analfabeta funzionale, quindi, traduce il mondo paragonandolo esclusivamente alle sue esperienze dirette e alle sue convenienze immediate, senza tenere conto delle conseguenze più complessive che i fatti possono determinare.

E’ pur vero che l’evoluzione delle tecnologie elettroniche e la sostituzione del messaggio letterale con quello iconico stanno modificando in tutto il mondo il livello di comprensione, ma il dato rivelato da ISTAT secondo il quale – nel 2016 – il 18,6% degli italiani (praticamente 1 su 5) non ha mai aperto un libro o un giornale, non è mai andato al cinema o al teatro o a un concerto, e neppure allo stadio o a ballare, è francamente sconcertante.

Quale diga fermerà il crollo verticale della cultura degli italiani, se chi deve rappresentare, chi deve insegnare e chi deve intermediare non si impone di essere più preparato?

Non esiste futuro, se i primi a rifiutare la complessità e l’approfondimento sono i politici, gli insegnanti, i manager, i giornalisti e tutte le altre categorie che rivestono un ruolo-guida nella società contemporanea.

Quale idea di progresso possiamo mai tentare di proporre se la realtà fattuale viene corrotta dalle spinte emozionali, se l’informazione si ritrae dal suo proprio territorio di neutralità facendosi contaminare da interessi partigiani, se la scuola continua a propinare dogmatismo invece di abilitare le competenze che fanno di una persona un cittadino attivo, e non un analfabeta funzionale: la capacità di scegliere un libro interessante, la scelta di partecipare alla vita sociale, la propensione a valutare le proposte economiche e politiche nella loro complessità.

In questo scenario si impone una scelta di campo, perché nulla è casuale!

Chi vuole continuare a mistificare la realtà, contrabbandando avversioni personali o interessi di gruppo come verità dogmatiche, faccia pure. Sia chiaro però che tentare maldestre operazioni di “shit-storming” qualifica chi lo fa per quello che è: un analfabeta funzionale contento di esserlo, anzi particolarmente interessato allo sfruttamento del fenomeno!

Per parte mia, io starò dove sono sempre stato: dalla parte del ragionamento, dell’approfondimento e dello sforzo di comprensione dei fenomeni complessi.

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