Mohsin Hamid è lo scrittore pakistano che ancora una volta, dopo Nero pakistano e Il fondamentalista riluttante, torna a restituire un’immagine del mondo e delle storie degli attraversamenti che lo percorrono: lo fa dalle pagine di Exit West, il suo nuovo romanzo edito da Einaudi. Il viaggio dei due protagonisti Saeed e Nadia, costretti a lasciare gli affetti e gli amati luoghi della loro città – inesorabilmente dilaniata dall’inasprirsi della guerra civile – in cerca di un’orizzonte di speranza, diventa lo spatium temporale in cui la narrazione può abbozzare l’orrore della guerra e della violenza, la miseria, lo struggimento che attanaglia «perché quando emigriamo assassiniamo coloro che ci lasciamo alle spalle».

I due giovani innamorati, obbligati nel giro di troppo poco tempo a disperdere ogni traccia di spensieratezza, attraverseranno molti paesi servendosi delle porte disseminate nel mondo, quei passaggi magici che conducono oltre la guerra e la morte. Tuttavia – sempre – il viaggio sarà segnato, oltre che dalla paura e dal desiderio di felicità, dalla fatica di trovare un senso alle loro ricerche, nella particolare direzione suggerita sin dal titolo. L’autore sceglie di parlare delle migrazioni attingendo all’elemento fantasy dei varchi magici, magneticamente oscuri e fascinosi, e al contempo scandisce la storia ricorrendo alla presenza costante della tecnologia: droni che controllano, smartphone che collegano al mondo, armi che annientano esistenze – tecnologia che apre o chiude le porte del mondo. Sarà necessario muoversi, al pari delle moltitudini costantemente in viaggio, per sentirsi finalmente arrivati e cresciuti, come anche per constatare che l’amore si è tramutato in qualcosa di diverso. Mohsin Hamid ci dice che «l’apocalisse sembrava essere arrivata, ma non era apocalittica, (…) e che per quanto i cambiamenti fossero traumatizzanti non erano la fine, e la vita continuava»: anzi, lì dove c’erano futuri inimmaginabili, vi erano fututi plausibili. Forse una delle sfide più importanti della contemporaneità è appunto comprendere che si è migranti sempre, pure quando si è fermi: cambia tutto ciò che è intorno a noi. «Siamo tutti migranti attraverso il tempo», e anche il West non sarà altro che la destinazione meramente simbolica, un altrove in cui alberga la consapevolezza che c’è molto di noi da riconoscere negli altri.

Diana A. Politano

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